mercoledì 13 agosto 2008

Una vita nell'imballaggio. Frammenti di un'autobiografia.

Volume IX: Gli anni del polistirene.

Il tempo del ritiro spirituale all’interno del proprio cranio è tornato ed è incrementato dalla presenza fisica della filosofia medievale sul paterno tavolino della camera venetica. Libri a forma di cubi da discoteca mi osservano da quella superficie, colonne sonore dal sapore di gelatina dimessa e fluorescente imperversano dal fondo del portatile, privato di casse che possano diffondere suoni non metallici.

Medito e ascolto, come una giovane natura razionale che aleggia sulle cose e le penetra analiticamente per poi sintetizzarle [in genere con scarso risultato]. Passeggiando e vagando per le sabbie desolate della costa adriatica, sfidando pallonate, bambini urlanti e mediocri virilità abbronzate, cercai inconsapevolmente la realtà delle cose nella forma delle conchiglie e nel rumore delle onde. Trovai solo un uomo tailandese pronto a vendermi tatuaggi di scarso pregio e tale significativo evento mi turbò tanto da impedirmi di continuare a leggere Memorie del sottosuolo in spiaggia. Mi ubriacai quindi con raggi solari e crema dalla protezione tendente all’infinito più uno, di seguito collassai sotto le pale rotanti dell’appartamento marittimo.

Pale rotanti in ogni stanza, pale rotanti dappertutto. A causa di tale incessante moto circolare dotato di ronzio ipocondriaco, le ossa del mio corpo iniziarono a scricchiolare con veemenza, attirando quell’incostante attenzione che dedico alle contingenze corporee. Pensai macrobianamente alla tomba dell’anima, poi mi convinsi che tutto fosse imputabile al fatto che l’attività più faticosa che avevo fatto negli ultimi sei mesi era alzarmi dalla tazza del cesso. Mi automaledii e, al fine di sedare una coscienza spesso inesistente, mi ripromisi di iniziare a breve un corso di bocce, o perlomeno di installare dei pedali alla parete del soggiorno. Fu questione di qualche ora, quando decisi infine che la colpa era da affidare all’uomo tailandese che mi aveva condotto alla perdizione dell’ozio solare distraendomi dalla saggezza russa. L’integrità del mio spirito era salva e pertanto mi permisi di svolgere degli autodefiniti e di tediarmi sopra volgari attività quali la depilazione.

Quando tornai alle naoniane piane asfaltate come chi aveva appena letto un intero manuale di mille pagine sul pensiero filosofico tra III e XIV secolo, evitai di intrattenere relazioni umane e mi rifiutai di dare una discendenza ai miei genitori assumendo come motivazione “la vita è sofferenza”. Mia nonna mi diede ragione ed io non potei che allontanarmi volteggiando nel giardino tra ulivi ed escrementi di cane.


Attendo, ascolto e medito. Avvolto in un tetrapak al condizionale, assumo distintamente coscienza di tale involucro consustanziale.

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