sabato 19 aprile 2008

Il formaggio e i vermi

Il processo di espulsione di un principio trascendente dalla mia esistenza ebbe origine durante la frequenza del catechismo il mercoledì pomeriggio. Dopo gli anni in cui colorai figurini di Gesù e dei dodici discepoli, un tizio mi urlò contro che mia madre si chiamava Maria e che non vi erano prove che gli uomini derivassero dalle scimmie. Ricordo poi tutti i bambini del mercoledì pomeriggio urlare bisillabi quali “uga – uga” e i catechisti che in qualche modo si stavano ricredendo. Qualcuno disse addirittura al prete che il catechismo non lo voleva più fare.
Nella mia tenera giovinezza mi comportai in modo blasfemo, tanto che in seguito fui preso da una sì grande noia per i monoteismi che mi disinteressai completamente alle forme di religiosità. Preferii dedicarmi alle lettere e alle soap opera. Donai così la mia anima alla forma poiché intorno si parlava solo di essenze e si pretendeva di avere verità in formato tascabile “viverbene”, peraltro facilmente disperdibili nell’ambiente. Troppa gente propugnava fideismo mascherato con foglie di fico. Il cristianesimo è fede, l’ateismo è fede, incominciare una raccolta di figurine Panini è fede, il vegetarianismo è fede, la razionalità è fede, credere che Maria de Filippi venga investita da un autocarro adibito al trasporto di clementine è fede, la scienza è fede. Accettare un fideismo è una soluzione efficace per proseguire la propria esistenza tranquilli, se si è coscienti di possederne uno. Se poi muore, se ne può sempre trovare un altro telefonando ad un numero verde.


L’essenzialità e la geometria delle cose, l’inconsistenza delle strutture logiche e la conseguente umiltà della disconoscenza umana si mostrarono quindi come intuizioni. A che pro il cogito sull’atto creativo se concetti quali origine del mondo, eternità e infinito sono gradualmente assimilati a paradisi artificiali procreati da insulse tracotanze umane, arricchite peraltro da un sillogizzare egocentrico? La teologia altro non è, allora, che la raffinata farneticazione su domande imposte dalla struttura logica sovrapposta dall’uomo all’universo, ma altrimenti prive di significato alcuno. Un grande paracularsi sillogistico, allora, al fine di mantenere un paradigma razionale e affermare la logica quale massima espressione della mente umana.
Fuffa, insomma.

Quale delusione, o Uomo. E quale piccolezza.

venerdì 4 aprile 2008

Titolo assente


Mi fu riferito di come fosse veramente possibile per una persona essere il centro di tutto quanto ci concerneva. E quanto mi fu riferito era vero, ragazzo.

Ho sceso dandoti il braccio almeno un milione di scale ed ora che non ci sei più è il vuoto ad ogni gradino.
Leggere gli Xenia adesso è come rileggermi. Ed io ti avevo più volte promesso che Montale lo avremo sfogliato insieme, dacché ignoravi tanto di me e questo poteva passare per un brandello della mia anima. Per prima cosa ho preferito però insegnarti ad abbassare la tavoletta del water una volta finito di mingere.

Quand’è perduto il tempo perduto? Con ogni probabilità in nessun caso.

I raggi primaverili si dipanano ora quali fredde imposizioni di rinascite inesistenti, l’equilibrio e la necessità degli eventi sono disposti in fila sul perimetro della terra, mostrandosi apertamente e comprensibilmente, aspettando un assenso o una scabra accettazione.

La tua parola così stenta e imprudente
Resta la sola di cui mi appago.
Ma è mutato l’accento, altro il colore.
Mi abituerò a sentirti o a decifrarti
Nel ticchettio della telescrivente,
nel volubile fumo dei miei sigari
di Brissago.

Passeggiando, lo so, con il tempo ridarò valore agli oggetti e alle cose e li richiamerò per nome [ma quanta fatica è sistemare il diagramma di flusso dell’esistenza in modo coerente ed efficace se ora tutto mi disinteressa come la musica indie e le gare motociclistiche!].
Che vita di stenti e di privazioni.