sabato 23 febbraio 2008

Dinamismo e attesa. De consolatione philosophiae è una domanda.

L’ossessione verso il possesso dello scibile mi opprime. Ostinandomi a ritenere inedia quell’incapacità fisica e mentale di convergere ogni energia nella direzione del fu e dell’è, procreo ampolle di frustrazione neanche troppo latente destinate a roteare in modo inesorabile ed a fiondarmisi dritte sulle palle [dimenticavo di dire che esse sono dotate di altresì dolorose lame infuocate ed a seghetto, sconsigliate ad ogni telespettatore dell’Albero Azzurro dacché tale trasmissione fece capolino in televisione].
La totalità dell’essere è un campo di indagine incattivito. Il proliferare di determinazioni settoriali incide sulla capacità di visionare con lucidità e fierezza il Tutto, appiattisce il globale e frantuma ogni coerenza. È così che dal particolare non si giunge al generale, tant’è che si funziona per paradigmi a chiave unica calati in una variabile temporale [non di certo lineare, chiaramente].
Dove sia il mezzo per perseguire la struttura del vigente è affare doloroso, ritenere che essa si svelerà teofanicamente in età pensionabile lo è ancora di più. Le capacità mnemoniche, nel frattempo, ridono di sé stesse anche a vent’anni e cerebri precari nel tempo che fugge convogliano colpi di grazia all’apparato motorio, generando fusioni tra Giacomo Leopardi, Pippo e un reggimento di suore dedite alla produzione di sidro.
Esistere nel districare brandelli di esistenza, che riemergono di tanto in tanto nel caligo della memoria infantile, e nell’aspettare quel misero e mistico istante pellegrino in cui si mostri un eterno ritorno. Id est.
E la circolarità continua ad emettere segnali sdegnosamente e fascinosamente incomprensibili, la Natura è ancora quel tempio con gli alberi e i simboli di cui si racconta.

Ed ecco la frenesia del contingente distruggere legami e produrre iperstimolazioni Tesmed di superficie.
Se distrazione o contributo è ancora da capire.

venerdì 8 febbraio 2008

La collina dei ciliegi

a P.


Il distacco avvenuto ci è caro, infine. Il dinamismo e la mobilità del corpo fagocitano il pensiero frapponendovi un vetro smerigliato [non lasciarlo fare senza cognizione]. Ed io, che credo ancora nell’ascetismo come rinascita cerebrale e che mi isolo per meglio comprendere, non ti ho forse mai capito. Di te, per cui si usano solo i diminutivi e che nelle foto sorridi spezzando delle gallette per celiaci, non mi rimangono ora che domande. La spontaneità è talvolta confusione e di per me non possiedo gli strumenti per comprenderla. Onestamente non ho mai capito come potessimo avere dei gusti così simili né perchè ci trovassimo bene insieme. È probabile fosse merito tuo, comunque, dacché io non faccio molto per avvicinarmi agli ego altrui, sempre così soffocati da innumerevoli problemi e contingenze [l’ironia e il cinismo sono un modo di essere più che una bolla di facciata].

Ci incontrammo in circostanze casuali, probabilmente a casa tua, in quel felice connubio di vino e prosperità spirituale. Eravamo legati da coincidenze, come tutti.
La prima volta che mi parlasti davvero, mi giudicasti quanto mai sincero con i miei sentimenti, ma già che un po’ di tempo è passato forse hai capito che così non era. Ti pensai sciocco a non comprendere la stratigrafia delle maschere. Tuttavia, ci ritrovammo da principio simili nel pensiero, mai nella [re]azione. La tua compagnia mi divenne cara giacché non eri un opposto, ma così sembrava.
In tal modo un’essenza può avere diverse forme.
Ed ora, che rimani così sfuggente anche per te stesso e che cerchi definizione per cose che non ne hanno alcuna, vaghi per strade che non sono più buie calli mnemoniche, con quell’entusiasmo che diventa rinnovata documentazione essenziale.

È ormai tempo per noi di disegnare un nuovo pensiero?